Vorrei iniziare col breve “resoconto” d’una passeggiata in uno dei rioni della mia città…

«Ci andammo insieme, io e te, una domenica mattina di tanti anni fa.

Ero poco più d’una bambina e tu mi mostrasti la tua Roma: il vicolo dove eri nato – stretto, buio, coi palazzi che quasi si toccavano; poi via del Governo Vecchio, dove avevi il negozio di pane e pasta, e dove c’era il calzolaio Archimede “er pecione”, o “Archimede cornuto”. La tua scuola elementare, poi commissariato, poi chissà, e la piazzetta dell’Orologio col teatro, la piccola torre dalle lancette ferme e l’angolo di Pasquino, a un passo da piazza Navona.

Pasquino: rudere di statua romana, punto d’affissione di poesie e satira sin dall’epoca papale. Pasquino: quasi una persona, o tante persone: simbolo dei romani che ce l’hanno col governo e che, attraverso quel pezzo di marmo, sfogano il proprio malcontento in versi sagaci. Mi mostrasti tutto questo ridendo, parlando del tempo in cui eri vissuto lì, dei ricordi di quei giorni lontani.

La macchina l’avevamo lasciata alla Chiesa Nuova, sulla piazza, vicino alla fontana dove gli amici di zio Gigi andavano a raccogliere le cicche per farne una nuova sigaretta. Zio Gigi “il conte” – scarpe lucide e capelli impomatati – così preciso e inappuntabile, così elegante.

Eravamo entrati nei vecchi vicoli a piedi, quasi per rispetto a un’antichità deturpata ma mai sparita, camminando sui sampietrini sconnessi, alla ricerca di ricordi sfumati. E fu per caso che incontrammo il tuo fratello di latte – quello che tua madre aveva allattato insieme a te, benché non fosse suo figlio: credo che non vi vedeste da anni.

Poi mi portasti a piazza Navona e, ultima tappa, alla Chiesa Nuova – così grande e bella, così affrescata – a vedere la tomba di San Filippo Neri. E camminando m’indicavi le edicole con le madonnelle, gli stemmi papali, i panni stesi da una finestra all’altra, raccontandomi gli scherzi che facevate da ragazzi e i soprannomi che vi davate. Ne ricordo uno fra tanti, che non so a chi aveste affibbiato né perché e che seguita a farmi ridere, soprattutto per come lo ripetevi: “tegamino”.

Prima di tornare a casa, comprammo le sfogliatelle “ricce” nella pasticceria Bella Napoli, proprio di fronte alla chiesa: un vero rito per te.

Ci sono tornata da sola, pochi giorni fa. Quei vicoli, quei palazzi principeschi, quei sampietrini sconnessi – ormai zona a traffico limitato, centro storico da proteggere, soprattutto dallo smog… Ci sono tornata e ho visto una strada diversa: negozi d’antiquariato, gioiellerie, bar affollati, statua di Pasquino ripulita e piazza Navona illuminata da bancarelle natalizie, e befane sulle slitte, e mimi, e gente colorata…

Ci sono tornata conoscendo tutto un po’ più a fondo – ché dentro alla Chiesa Nuova non c’è solo la tomba del santo, ma affreschi d’autore e una copia del Caravaggio – e gli stemmi papali hanno una storia, come le edicole sacre agli angoli delle strade, o piazza Navona che in epoca romana nemmeno esisteva.

Eppure la stessa strada, lo stesso rione: quelli che “cantasti” per me, come i romani illustri avevano fatto con Roma. Quelli che, come i sampietrini e Roma stessa, non ce la fanno a sparire. Non possono.

Ma qualcosa s’è perso al Governo Vecchio. Qualcosa che è nell’aria e che non puoi afferrare se non col ricordo: un po’ di rione sparito insieme a te. Perché non c’è più il negozio di pane e pasta, né quello di Archimede “cornuto”. Non ci sono più “sagome” da commedia dell’arte, né soprannomi. E nemmeno lo stesso silenzio rotto dai tuoi arguti commenti, o la pace di una domenica di tanti anni fa.

Eppure, passando, ti ho ritrovato: romano verace, ultimo Rugantino scanzonato del Governo Vecchio, che adesso te ne stai lì, chissà dove, a guardarmi sorridendo… So che tutto questo t’avrebbe fatto piacere. Perciò, come il grande Petrolini, concludo: Ti ha piaciato? E se no… Ciao, papà.»

 

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